Vino Trentino, Identità e Crisi Globale — Trentiner Wein, Identität und globale Krise

Nella provincia a noi vicina le struttute portanti dell’economia vitivinicola schricchiolano, e non poco. Per anni, quasi decenni, i viticoltori trentini sono stati invidiati dai colleghi sudtirolesi per i maggiori ricavi per ettaro e per i minori requisiti qualitativi che a loro si richiedevano in vigna. Adesso sembra che questa politica unilaterale di produzione e vendita cominci a farsi pagare cara.

In der südlichen Nachbarprovinz kracht es ordentlich im weinwirtschaftlichen Gebälk. Jahre-, fast jahrzehntelang wurden die dortigen Weinbauern von den in Südtirol beheimateten ob ihrer regelmäßig höheren Hektarerlöse und geringeren Qualitätsauflagen beneidet. Jetzt scheint sich die einseitige Anbau- und Verkaufspolitik zu rächen.

Il motivo per questo post consiste negli sviluppi drammatici (1, 2, 3, 4) che hanno messo in serie difficoltà la Cantina sociale di LA-VIS. Risvolti che per dire la verità così nuovi non sono, in quanti i problemi sono venuti a galla già da diverso tempo e riguardano anche altre strutture come quelle di Avio, per cui Emilo Pedron, ex responsabile del Gruppo Italiano Vini , è stato chiamato a presentare un piano, peraltro molto discusso, per la riforma dell‘ economia vitivinicola locale.

Der Anlass für diesen Beitrag sind die letzten dramatischen Entwicklungen (1, 2, 3, 4, alle in ital. Sprache) welche die Kellereigenossenschaft LA-VIS in arge Bedrängnis gebracht haben. Veränderungen, welche aber eigentlich so überraschend nicht sind, zeichneten sich die Probleme der großen Genossenschaftskellerei schon vorher ab bzw. betreffen sie auch andere große Strukturen, wie jene z.B. in Avio, weshalb Emilio Pedron, seines Zeichens ehemaliger Vorstandsvorsitzender des Gruppo Italiano Vini, einen äußerst kontrovers diskutierten Plan für die Reform der Welschtiroler Weinwirtschaft entworfen hat.

Un spiegazione interessante del sistema trentino degli anni scorsi che in effetti era incentrato sulla sovvenzione dei prezzi dell’uva attraverso il commercio con provenienze esterne alla provincia si può leggere quì. Inoltre volevo da tempo rendere accessibili in rete gli atti del convegno che l’UDIAS (Unione diplomati dell‘Istituto Agrario San Michele a/A) ha organizzato sul questa tematica. Anche se questo incontro che non è piaciuto a tutti si è svolto già un po‘ più di un anno fa, i fatti recenti hanno dato ancora più attualità agli argomenti trattati.

Einen guten Überblick hinsichtlich des dortigen Systems der vergangenen Jahre, welches im Kern eine starke Subventionierung der Traubenpreise durch Handelstätigkeit mit Trauben anderer Herkunft  beinhaltet, wird hingegen hier geboten. Zudem wollte ich schon früher die Ergebnisse einer Tagung der UDIAS (Absolventenverein des Istituto Agrario San Michele a/A) zum Thema, welche übrigens nicht allen gefallen hat, veröffentlichen, die zwar vor etwas mehr als einem Jahr stattgefunden hat, aber gerade im Lichte der letzten Ereignisse an Aktualität eher gewonnen als verloren hat.

Ringrazio la Federazione Trentina delle Cooperative per la rassegna stampa utlizzata e il presidente dell’UDIAS Angelo Rossi per la messa a disposizione degli atti in forma digitale.

Ich bedanke mich bei der Federazione Trentina delle Cooperative für den verwendeten Pressespiegel und beim Präsidenten des Absolventenvereins UDIAS Angelo Rossi für die digitale Bereitstellung der Tagungsunterlagen.


8 Gedanken zu „Vino Trentino, Identità e Crisi Globale — Trentiner Wein, Identität und globale Krise

  1. cosa ne penso?
    se avessi le ricette non farei il vignaiolo ma il consulente ultrapagato! 😉
    a mio modesto parere la vendita di possedimenti al di fuori delle attività centrali sarà necessaria anche se dolente, per avere un po‘ di respiro.
    a medio-lungo termine secondo me le grandi cooperative dovrebbero ritornare ad essere i trasformatori e venditori delle uve dei loro soci e basta. niente più attività extra per „drogare“ il prezzo dell’uva quando queste attività vanno bene o appesantirlo quando queste attività non rendono più.

    nel post pubblicato ieri si possono leggere le analisi che ha fatto maria daniel a proposito.
    le mie che ho espresso un anno fa a san michele, gli atti completi si possono scaricare qui, ma per facilità le copio ed incollo quì:

    „Intervento di Armin Kobler alla Tavola rotonda Udias dd. 12.06.09 a San Michele
    Buongiorno a tutti. Sono molto contento di poter parlare qui in Aula Magna da ex allievo di S. Michele; ho terminato nell’84.
    Cercherò di essere abbastanza breve perché penso sia molto più importante che dopo ci siano delle discussioni con i partecipanti; già da subito devo però dire che per 10 mila ettari di superficie vitata in Trentino, diciamo che le persone qui presenti sono abbastanza poche proprio perché, secondo me, è una manifestazione molto riuscita, a parte il mio intervento, per cui avrebbe meritato maggiore attenzione.
    In Alto Adige abbiamo 5.000 ettari però un tempo ne avevamo tanti quanti sono ora in Trentino, cioè più di 10.000. Naturalmente dopo l’annessione all’Italia del 1918, tutto è cambiato, ma devo dire che dei 5.000 ettari spariti, sicuramente una gran parte non era tanto vocata perché a quei tempi ognuno voleva avere il suo vino, i trasporti erano costosi e chi poteva si faceva il vino anche se in posti non troppo idonei.
    Io che sono di Magrè sulla strada del vino, sono molto vicino alla realtà trentina, anche se naturalmente non la conosco in modo perfetto, pur avendo la mia campagna proprio al confine con i comuni di Salorno, di Cortina all’Adige e di Roveré della Luna.
    Nel mio paese ci sono diversi viticoltori che conferiscono la loro uva alle cantine di Lavis e di Mezzacorona e non soltanto alla cantina sociale di Magré e Nalles. Sono molto contento anche di poter dire oggi che non è tutto oro quello che luccica, perché nei 20 anni che mi occupo di viticoltura a livello di studio e di lavoro, nel nostro paese c’è stata molta invidia verso il Trentino, soprattutto da parte dei viticoltori quando si ragionava delle DOC che da noi hanno un massimo di 130 q. li/ha, mentre in Trentino possono farne di più e con l’aggiunta del 20% di supero! In Alto Adige il 20% da anni non viene neanche più retribuito dalle cantine, va cioè a prezzo zero.
    Le soglie del DOC da noi non sono più nemmeno un tema da dibattere, perché tutte le cantine esigono che per la stragrande maggioranza delle produzioni si vada al di sotto dei limiti DOC per cui la discussione sul DOC ormai è obsoleta, non è più attuale ecco, perché ci sono le DOC individuali, diciamo, di ogni cantina; e parlo anche di cantine cooperative e naturalmente anche di quelle commerciali. Devo dire che tutte sono considerate private; non mi piace mai questa contrapposizione tra cooperativa e privato, perché tutti sono di diritto privato; di pubblico, almeno in Alto Adige, c’è solo Laimburg.
    Come per la DOC, tutti hanno fin qui guardato con invidia verso i “roveraideri”, come li chiamiamo, perché quando c’era un terreno in vendita nel triangolo tra Salorno (BZ), Roverè (TN) e Magrè (BZ), erano sempre quelli di Roveré della Luna ad acquistarlo dando anche 10-20 euro in più al metro quadro, senza battere ciglio! Orbene, devo dire che se adesso le cose vanno un po’ meno bene, anche se nei 20 anni scorsi si sono rifatti la casa, hanno acquistato il trattore Fendt, hanno fatto
    studiare i figli (e questa è una gran bella cosa); un giornale economico ha detto che in verità non c’è crisi, non è la crisi del vino questa, ha detto che questa è soltanto una scopa molto potente che sta ripulendo l’economia di cose che non vanno bene. Come dire “resettare” su dei livelli più normali. Comunque adesso l’invidia è sparita un po’ perché anche i nostri compaesani che portano l’uva in Trentino hanno visto che i prezzi per ettaro – parliamo più concretamente di rese/ettaro che di rese/quintale – stanno scendendo di più, siamo cioè più su valori normali, se così si vuol dire.
    Anche l’Alto Adige risente della crisi e devo dire che, un po’ in contrapposizione con il mio amico Mario Poier che frequenta sì i vignaioli Sudtirolesi, ma molto probabilmente aziende che conosce da tempo, nel frattempo affermate e che sono sul suo livello: loro sì che hanno le cantine vuote, però ci sono tanti altri vignaioli, cooperative e commercianti che devono ancora impegnarsi a vendere in questi giorni i loro vini, passando più ore fuori cantina che dentro, nei ristoranti e nelle enoteche a proporre i loro prodotti. Non c’è, infatti, solo bianco e nero, ma ci sono tantissime tonalità di grigio. Comunque abbiamo reagito, abbiamo fondato in ritardo un Consorzio dei vini anche in Alto Adige e abbiamo capito che bisogna sempre andare insieme e mai separati perché le 16 cantine cooperative che vinificano più di due terzi dell’intera produzione, si avvantaggiano anche dell’immagine di tutta la regione creata soprattutto dalle aziende medie e piccole.
    Noi oggi ci concentriamo, con un nuovo concetto di marketing, su vitigni guida per il lungo o medio periodo: Pinot bianco, Gewürztraminer e Sauvignon; e per i rossi la Schiava, il Pinot nero ed il Lagrein, sempre ammettendo naturalmente anche le altre varietà, ma concentrando gli sforzi di marketing non su mercati lontani che polverizzano i nostri investimenti, ma su mercati che abbiamo già, trattando questi sempre meglio.
    Si parla spesso di mercato tout court e, secondo me, questo mercato non esiste; ci sono infiniti mercati, per cui i concetti che vanno bene per l’uno non vanno bene per l’altro e naturalmente anche viceversa. Io sono molto legato al Trentino dal punto di vista emozionale, dalla storia e dalla famiglia; devo dire che mi fa sempre un po’ male sentire della scarsa considerazione sul Trentino, cioè parlando con i trentini sento spesso che pochi sono fieri della situazione e tutti la pensano in modo diverso, molti si lamentano; i trentini si identificano troppo poco con la loro identità, non voglio dire che devono essere acritici verso la realtà, ma bisognerebbe che ci fossero più ragioni per essere fieri della propria terra.
    Non mi è piaciuto tanto sentire che le produzioni di qualità si ottengano solo in colline; devo dire che forse c’è un preconcetto da parte mia: io produco tutto in pianura e il vino buono viene anche lì, ma basta avere le varietà giuste, la tecnica colturale adatta, sfruttando i risultati della zonazione.
    Con le zonazioni in Trentino hanno cominciato molto prima che in Alto Adige per cui queste dovrebbero essere messe in pratica e non essere i criteri di
    commercializzazione a breve termine a determinare se mettono una varietà al posto dell’altra! Questa secondo me è una delle cose più importanti.
    Voglio qui dire che siamo fieri che le varietà che adesso si considerano di moda da noi ci sono già quasi da 200 anni; ricordo che è stato l’arciduca Giovanni, fratello dell’imperatore Francesco, a seguito dei suoi viaggi in Francia a consigliare che nell’impero austro-ungarico si cominciassero a sperimentare i vitigni nobili francesi, i bordolesi, ma anche della Borgogna e della Loira. Per questo da quasi due secoli in Friuli-Venezia Giulia, Trentino, parte della Lombardia e naturalmente anche in Alto Adige si coltivano questi vitigni, una volta poco interessanti per le scarse rese, ma di cui oggi possiamo andar fieri; fieri del nostro Chardonnay, del nostro Sauvignon e del nostro Pinot grigio.
    A questo proposito devo dire che la politica del Pinot grigio non mi piace, anche se ha contribuito molto agli introiti aziendali e famigliari sia viticoltori trentini che dell’Alto Adige; spesso, una volta che un vino va bene, se ne fanno di tutti i tipi e anche tipacci per cui a casa mia, dove abbiamo il Pinot grigio da sempre, non l’ho chiamato Pinot grigio (perdendo molte occasioni soprattutto in Germania dove sono italofili), ma per autenticità – dato che sono di madrelingua tedesca – le mie realtà le chiamo nella mia lingua, – cioè “Grauburgunder” ossia Pinot grigio tradotto in tedesco.
    All’inizio temevo che, facendo una certa tipologia di “grigio” e con determinati costi di produzione, prima o poi qualcuno si sarebbe accorto che vendevo lo stesso prodotto con un altro nome, ma questo non mi viene rinfacciato perché forse lo faccio un po’ diverso da quello che è venduto in America.
    Naturalmente importante, già che siamo a S. Michele, è sicuramente la ricerca; nella documentazione distribuita all’inizio dell’incontro ho visto con grande rispetto quante pubblicazioni sono state fatte a S. Michele. Forse per la fretta non ho visto l’elenco degli impegni per i convegni fatti, perché è molto importante che non si pubblichino solo lavori scientifici, ma anche quelli divulgativi. Infatti, parlando con la gente, non emerge una ricerca vicina alla produzione, mentre sarebbe molto importante che San Michele potesse lavorare maggiormente in questa direzione.
    Per concludere, voglio dire che ricette non ne ho; ognuno deve veder un po’ le cose sue; sicuramente è tempo di muoversi. Per una volta noi dell’Alto Adige – avendo speculato poco, restando per 20 anni dietro al Trentino con minori introiti per ettaro – in questi momenti andiamo forse un po’ meglio.
    Vero è che bisogna vedere su cosa si punta: se si punta di più sulla grande, grandissima distribuzione tipo Pinot grigio o se si vogliono fare anche dei prodotti di nicchia. Dico che il potenziale il Trentino ce l’ha senz’altro, per cui bisogna fare delle scelte.
    Spero di non essermi dilungato troppo, grazie.“

  2. Si armin, ovviamente la condivido con Vittorio.

    Ciò che non avevo scritto era che a mio parere la cessione di aziende indebitate o in crisi ad un aziende indebitata e in crisi non risolve il problema; in quanto, servirebbe anche l’ingresso di capitali non per rimodernizzare gli impianti ma per ripianare i debiti, e poter pagare a sufficienza i coltivatori. Anche una politica di controllo dei costi sarebbe utile, vedi servizi di coltivazione conto-terzi (sfogliatura, irrorazione etcetc) e perfino affitto di impianti di imbottigliamento, filtrazione e cosi via.

    Ma per farlo serve cambiare la nostra mentalità, a volte eccessivamente campanilistica.

    E tu armin, cosa pensi ?

  3. Concordo con l’analisi economica di Vittorio, avendo modo anch’io di affrontarne l’argomento a San michele da studente.
    Qualcuno di voi, che è intervenuto o che interverrà, pensa che il piano di Pedron possa effettivamente risanare dal piano di vista economico le aziende in crisi ? e queste continueranno comunque con la loro politica di acquisizione di materiale extra-regionale ?

    Io,spero di sbagliarmi, ma penso che limitandosi a una modifica puramente economica del sistema, con cessioni di aziende, non cambiera molto.

  4. grazie vittorio del tuo punto di vista, veramente approfondito.
    è vero, da tempo c’era chi avvisava.
    però anche quando l’anno scorso l’udias (sei socio?) ha fatto quel convegno (linkato in fondo al mio post) a diversi non è piaciuto.
    nonostante che veramente tutti i rappresentanti vitivinicoli erano invitati e sono anche intervenuti.
    a proposito della tua cirtazione del sudtirolo è però anche giusto aggiungere quel detto che parla dell’erba del vicino, ecc.

    non devi ringraziare per lo spazio, il blog è fatto per questo.
    a presto
    armin

  5. Sono un giovane enotecnico trentino diplomato a San Michele nel 2007 e ricordo che già allora profeticamente durante le ore di lezione di economia si diceva che il sistema cooperativistico trentino era destinato a fallire, in quanto basato unicamente sul fenomeno Pinot Grigio, su cisterne extra regionali e sulla scarsa o nulla promozione del territorio.

    Le colpe dell’attuale situazione sono da ricercare nelle scelte scellerate da parte delle cantine socilai, nelle improbabili politiche commerciali di Cavit e nella assoluta incompetenza di assessori e funzionari della Provincia subito pronti a risanare bilanci traballanti invece di pensare ad una adeguata azione di marketing territoriale.
    Tale situazione ha sì distribuito ricchezza tra i viticoltori, però ha soffocato i numerosi piccoli produttori trentini, i quali incontrano numerose difficoltà ad espandere il proprio mercato oltre i confini provinciali.

    I frutti nefasti di queste politiche si possono vedere già da anni. E‘ sufficiente recarsi a Madonna di Campiglio, San Martino di Castrozza, Andalo, Folgaria per rendersi conto che gli alberghi e ristoranti raramente propongono vino trentino, al massimo Pinot Grigio o peggio ancora Prosecco. Così facendo il turista quando torna casa non cerca il vino che ha bevuto in vacanza.

    Invece voi in Alto Adige siete stati molto intelligenti: le cantine sociali hanno puntato sulla qualità e la Provincia ha fatto una seria promozione sul e del territorio, creando il marchio Sudtirol sinonimo di vino di qualità. Così facendo i piccoli produttori ne hanno tratto beneficio crescendo ulteriormente in qualità e avendo minori difficoltà nella conquista del mercato.
    Tale divario si nota benissimo a Milano, dove vivo attualmente per studio.
    Nei supermercati ci sono almeno dalle cinque alle dieci etichette altoatesine, sia cantine sociali che qualche privato, comunque mai al di sotto di sette euro. Per Il Trentino c’è l’onnipresente Cavit con bottoglie vendute a tre-quattro euro, prezzi improponibili per un produttore medio. Nelle enoteche c’è una vasta scelta di vini dell’Alto Adige, di produttori noti e meno noti, mentre per il Trentino al massimo si trovano due, tre etichette da ricercare tra queste cantine: Ferrari, Foradori, Methius Dorigati, Abate Nero, Cesconi, San Lorenzo. Ovvero coloro che a suon di qualità sono riusciti ad emergere dalla palude trentina. E di produttori validi in Trentino c’è ne sarebbero molti altri, ma sono soffocati dal sistema marcio.

    Io spero che questa crisi serva a fare una sana pulizia e faccia aprire gli occhi a molti, garantendo così una svolta epocale nel sistema viticolo ed enologico trentino.

    Grazie per lo spazio
    Vittorio Merlo

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